Perché la paura non è un buon mezzo per ottenere dagli altri un comportamento

di Pegoraro Sara - Psicologa Psicoterapeuta

La paura è un’emozione che ha la funzione di salvarci la vita. Quindi è un’emozione assolutamente normale e che permette di metterci in salvo da situazioni pericolose per la nostra salute, o ci permette di evitare quei comportamenti che possono danneggiarci.

Nella nostra società la paura viene usata anche a livello educativo: “fai i compiti o l’uomo nero ti verrà a prendere”, “se non ti comporti bene la mamma non ti vorrà più bene come prima” oppure “state a casa o il contagio non si fermerà”. Purtroppo questa modalità rischia di essere più negativa, che positiva, soprattutto nel lungo periodo. Inizialmente questo approccio produce il comportamento desiderato, ma nel giro di qualche tempo questi comportamenti si esauriscono, perché alla troppa paura, o quando ci si rende conto che il pericolo non è imminente, istintivamente si fugge da questa emozione. Non siamo programmati per vivere nella paura.

In questo periodo ci vediamo costretti a casa, ed è impossibile fare cose che davamo per scontate. Il messaggio trasmesso, purtroppo, si basa sulla paura. Ma non funziona. C’è ancora molta gente che si aggrega, anche per caso, creando una possibile via di contagio. Il messaggio martellante rischia anche di provocare comportamenti aggressivi nei confronti di persone che si trovano in giro per ovvie ragioni. Ma in una società individualista, come è diventata la nostra, ognuno ha le sue ragioni, e solo le proprie ragioni sono valide per trasgredire alle nuove norme imposte all’improvviso.

Ma quindi, come possiamo modificare il comportamento in modo efficace e duraturo?

Il primo modo è dare l’esempio. Il secondo attraverso l’educazione veicolata dall’informazione. Concentrarsi, quindi, sul fornire le spiegazioni adeguate al pubblico. Dire “state a casa” non funziona, perché toglie libertà faticosamente guadagnate dai nostri nonni e a noi trasmesse. Avrebbe più senso spiegare il meccanismo attraverso cui avviene il contagio. Servirebbe un organo di vigilanza, in ogni punto in cui si prevedono le aggregazioni, che spiega il corretto comportamento da tenere.

Agire, quindi, attraverso l’educazione ai nuovi comportamenti, e non impedendo anche quelle cose che danno un minimo di percezione che le cose potranno tornare alla normalità.

Visto il periodo ho usato l’esempio di questa pandemia, ma il principio rimane valido in ogni ambito.

L’educatore deve essere percepito presente, non si può limitare a dare una norma e poi sparire. La persona deve essere accompagnata al cambiamento.

Il cambiamento spaventa, non si sa come comportarsi e se lo si sta facendo bene, e incutere ulteriore paura non può essere la risposta.